Come nella lingua italiana, nel dialetto
salentino vi sono parole tronche, piane, sdrucciole, bisdrucciole
e trisdrucciole cioè con l'accento, rispettivamente, sull'ultima,
la penultima, la terzultima, la quartultima e la quintultima sillaba. La maggior
parte delle parole hanno l'accento sulla penultima, mentre le
parole tronche e quelle trisdrucciole sono rarissime. Più frequenti le sdrucciole, un
po' meno le bisdrucciole.
Con l'eccettuazione di
quei casi in cui, al fine di evitare una possibile ambiguità,
abbiamo preferito operare diversamente, nel
presente lavoro abbiamo adottato i seguenti criteri:
-
per i
monosillabi non abbiamo segnato l'accento, salvo che non fosse
necessario distinguerli da altri lemmi di forma identica ma di
significato diverso: per esempio "è" verbo da "e"
congiunzione, "né" negazione da "ne" particella. Parimenti
abbiamo indicato l'accento nei monosillabi con dittongo
ascendente, cioè con l'accento sulla seconda vocale: per
esempio "cchiù" ( più)
-
nelle
parole piane non è stato mai segnato l'accento, per cui i
termini con più di due sillabe, in mancanza di altra
indicazione, vanno letti con l'accento sulla penultima
-
per le
parole sdrucciole, bisdrucciole e trisdrucciole l'accento è sempre stato
indicato
-
per i
dittonghi presenti in penultima posizione non è stato indicato
nessun segno, per cui vanno pronunciate come piane quelle
parole nelle quali l'incontro di due vocali dà luogo a
dittongo. E' stato, invece, segnato l'accento quando le due
vocali contigue sono in iato, cioè separate e distinte. Per
comodità del lettore, riepiloghiamo qui di seguito le
condizioni necessarie perché due vocali siano dittongate.
Si ha dittongo quando:
-
una
vocale debole ("i", "u") atona è preceduta o seguita da una vocale
forte ("a", "e", "o"),
che può anche essere accentata: per esempio "ia"
(ac-chia-tu-ra), "ià" (chiàc-ca-ra),
"io" (cio-tu-leḍ-ḍa), "iò" (cra-niòc-cu-la), "ai"
(pai-sa-nu) , "ài" (ca-ta-cài);
-
due
vocali deboli ("i" ed "u") sono unite fra loro, purché l'accento non
cada su quella in prima posizione: per esempio "iu"
(ab-ba-šciu), "iù" (fiù-ru).
Si ha,
invece, uno iato quando, nell'ipotesi di cui alla lettera
"a", l'accento cade sulla vocale debole (esempi:
"li-cur-da-rì-a", "bi-su-nì-e"), nell'ipotesi
di cui al punto "b", quando è accentata la prima delle due
vocali deboli (esempi: "vì-u", "nù-i").
In
alcuni casi lo iato è così marcato da dar luogo
nella pronuncia ad una sorta di cesura, cioè ad uno stacco
deciso,
non solo fra due sillabe diverse, ma addirittura tra due
membri all'interno della stessa parola, il primo con un
accento secondario, il secondo con l'accento principale. In
questo caso abbiamo voluto segnalare il fenomeno utilizzando
il segno diacritico della dieresi posizionato sulla prima
delle due vocali e l'accento tonico sulla seconda: per
esempio, "bbï-ùta"
(bevuta), "ncarpï-àre" (riempire di filacce), nḍï-ùtu
(livido, ossidato), "nsï-àtu" (unto con il sego,
insudiciato), "ṭrï-àca" (teriaca), "ulï-ètu" (oliveto).
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